giovedì 22 aprile 2010

Sayonara


Cerimonia del tè

Tempo scaduto. Secondo gli accordi che il governo italiano ha preso con quello giapponese, il visto turistico di un italiano per visitare il Giappone dura 90 giorni. Ho passato la dogana dell'aeroporto di Narita circa dieci giorni fa, e credo di non rivedere presto ufficiali di dogana con la mascherina: una finezza tutta nipponica. Anche se volessi rientrare sarebbe imprudente farlo per la quarta volta da turista. Mentre i francesi hanno un anno, dico un anno, per fare le loro vacanze studio, grazie ad accordi bilaterali fra i due paesi, gli Italiani sono nella condizione dei 90 giorni. Visto il clima di controllo degli ingressi respirato negli ultimi mesi in Giappone, generato da una globale crisi economica, meglio non fare i furbi e fingere di morire dalla voglia di visitare la vicina Corea per poi rientare dopo una settimana a Narita con un nuovo visto da 90.
Prima di lasciare Tokyo, ho quasi finito al lista delle cose da fare per respirare il clima "autentico" di questo paese. Dopo aver archiviato l'esperienza post-uforobot di Electric City (Akihabara), tutto maids, manga, nintendo, anime e store per turisti che vogliono l'ultima Canon senza IVA, dopo aver superato lo shock anagrafico di Shibuya, quartiere ad uso e consumo dei teenagers; dopo aver compreso i benefici dell'hamburger di pesce, ho finalmente provato il senso misurato del Giappone tradizionale. Ho ricevuto in dono uno yukata (kimono estivo), compreso di sessione per indossarlo, e ho partecipato ad una cerimonia del tè. Circa due ore seduta sulle ginocchia in posizione seiza ad ossevare tutti i gesti complessi del maestro di cerimonia  mi sono bastati per capire come gli stessi giapponesi lascino questa esperienza ai monaci zen antiossidati da tutto quel tè verde, meglio preparati nelle giunture e nello spirito. Ma questa cosa andava fatta. In queste ultime settimane mi sono data, dunque, allo sfrenato turistaggio da manuale. 
Chiudo oggi questo blog con le immagini che ho fissato con la mia Fuji 8 megapixel in questi quasi sei mesi di vita a Tokyo. 
Gambatte a tutti!

Cerimonia del tè

martedì 23 marzo 2010

Sakura




 pink break

Ultime settimane a Tokyo. Forse riesco a contemplare la fioritura dei ciliegi(sakura): il grande evento. Il rosa da qualche settimana ha invaso lentamente ogni aspetto della vita pratica.
Il global diventa glocal. Starbucks (la catena americana che fa bere caffè anche ai cinesi) ha realizzato per l'occasione uno speciale caffelatte rosa, con tazza rosa. Nel caffè sotto casa sono comparsi croissant con farcitura rosa e packaging in tinta. Rosa è anche il colore dominante degli sfondi sulle solite pubblicità sui treni della metro. Io ho già mangiato un dolcetto di riso avvolto nella foglia di ciliegio. I ciliegi sono un po' come i gatti qui a Tokyo: si trovano nei parchi, nei cimiteri, più raramente nei viali cittadini, e tutti ne hanno cura. Ci si prepara alla fioritura con una devozione che, a chi giapponese non è, suona come un rito a cui bisogna essere iniziati. Insomma, non si tratta solo di contemplare delicati fiorellini rosati. Sotto i ciliegi si fanno picnic con tutta la famiglia e romantiche puntate notturne neglia angoli più suggestivi.  In qualche caso si fa la fila per vedere, come per i saldi  nelle boutique di Ginza. Una serie di domande a questo punto rimaranno senza risposta. I ciliegi qui nella tradizione hanno quasi un anima e sono tutelati perchè portatori di bellezza. Come dargli torto? D'altro canto però, mi lascia perplessa il numero di centrali nucleari in un paese ad altissimo rischio sismiso, la presenza di inceneritori al centro di Tokyo (ogni biscotto è impacchettato singolarmente, dunque molta molta plastica in giro), e la caccia alla balene è spacciata come ricerca scientifica dai media nazionali giapponesi. Venerare la natura  in senso panico, non sempre significa dotarsi di politiche ambientali che possano far contemplare ciliegi alle generazioni future.
Protocollo di Kyoto da rivedere proprio a casa loro.
 sakura metro

giovedì 4 marzo 2010

(S)paz(z)iare

 
Shibuya 
Sono una pessima blogger. E chiedo scusa ai lettori, anche se ne fosse rimasto solo uno però si merita altre due cose su Tokyo. Forse troppi stimoli sensoriali provocano una specie di overdose e le cose che si vorrebbero raccontare sono troppe. Per esempio, avete presente uno degli incroci più attraversati del mondo? Shibuya. Un delirio di pedoni per pedoni. Le strisce in diagonale (?!) sono quasi inutili. Quando il verde è dei pedoni vi sentirete come un bisonte che attraversa la savana urbana con centinaia  di bisonti, antilopi, e zebre con borse, zaini, tacchi e cravatte. Vivendo in una città con una densità di popolazione di circa 14.000 abitanti per chilometro quadrato, la propria fisicità muta. Il modo in cui si attaversa lo spazio anche. Si cominciano a capire meglio le leggi della prossemica,   completamente sovvertite, e si diventa spingitori di umani, compressori di altri corpi. Non c'è scelta. Si impara anche a fare del proprio corpo una specie di spartitraffico bipede ai cancelli della metro. Come ritrovarsi con gli amici a Tokyo nelle stazioni più affollate? A Shibuya ci si ritrova davanti al cane Hachico (la statua). A Shinjuku davanti all'incrocio dello Studio Alta, per esempio. Così fra tutti i punti di riferimento che questo luogo possa offrire, con tutte le insegne luninose, tutte le uscite della metro e dei treni di  superficie, alla fine gli umani hanno individuato dei punti che a noi italiani, della cultura della piazza del giornale, del caffè, ma anche delle manifestazioni di ogni genere, ci sembra la cosa più normale ovvero: un luogo che ha abbastanza spazio per sostare con il proprio corpo senza essere travolti da zebre e bisonti. In realtà, questi due luoghi di incontro non sono delle vere e proprie piazze, ma l'idea di piazza a Tokyo non è una soluzione urbana: è spreco di spazio.   L'area antistante il Palazzo Imperiale fa eccezione. Se siete in centro e volete  spiaggiarvi per riprendervi da un bagno di folla, potete trovare rifugio in questa generosa aria di rispetto a ridosso del palazzo imperiale. Rispetto "profondo": sotto il parco imperiale non passa neanche una delle 9 linee della  Tokyo Metro.  
 
Kokyo Gaien (davanti al palazzo imperiale, guardando la città)


mercoledì 10 febbraio 2010

Jishin

Palazzo sghembo a Omotesando

Mi piacciono molto certe architetture di Tokyo, fatte di materiali high tech, di vetro, cemento acciaio, dalle forme impossibili, con le strutture a vista, grossi bulloni, infinite scalemobili, baricentri creativi. Confido nell'intima bontà degli ingegneri. Un paradiso per architetti e per costruttori senza freni inibitori e una buona dose di fatalismo.
Si dice che ci siano in media 70 anni d'intervallo fra due grandi Jishin (Terremoto) secondo i sismologi. L'ultimo è stato nel 1923. Ogni volta che mi trovo in spazi molto piccoli o molto grandi quasi di default dedico almeno un minuto a guardarmi intorno con nonchalance, per verificare le vie di uscita e la presenza di estintori. Nel primo caso perchè ci sono molte persone da evacuare, nel secondo caso perchè lo spazio  piccolo è privato e forse meno garantito in termini di sicurezza. Questa specie di procedura a Tokyo non è solo il frutto di fobie personali. Qui la possibilità di un terremoto sono altissime, così come la densità di popolazione. Un caffè in media, quando non fa parte di una catena, è di circa 30 metri quadri tutto incluso. I tavoli sono nipponici: non siamo seduti in una poltrona multisala del Texas. Ci si ritrova gomito a gomito con l'altro cliente e si entra in confidenza con i reciproci ritmi della masticazione. Dunque studiarsi una via di fuga torna utile.
Leggendo l'opuscolo che il comune consegna ad ogni residente due o tre cose uno dovrebbe saperle: tipo chiudere il gas e lasciare le porte aperte alle prime oscillazioni. Non basta, aiuta. Ma qui si dorme con una piccola borsa di documenti accanto al letto tutte le notti. Ho studiato il percorso per raggiungere il meeting point del quartiere, e deciso, se ne avessi il tempo, quali beni portare con me. Per capire bene cosa significa alto rischio sismico si può dare un occhiata  al sito dell'Agenzia Metereologica Nazionale Giapponese. Il secondo link dopo la home page è dedicato ai terremoti. Il sito da un bollettino giornaliero di ogni picccola scossetta, con una mappa e tutte le indicazioni su epicentro e intensità. Efficienza nipponica. E per non venir meno al brivido per le cose belle che non permangono, il sito da anche il bollettino sulla fioritura dei ciliegi. Vi interessa? Andate alla sezione visitatori e turisti. La prossima fioritura da fine marzo, forse.

 
Tokyo Mid Town Design Hub




lunedì 1 febbraio 2010

Zen

 
Tokyo International Forum

Tornare a Tokyo con un visto turistico mi permette di vivermi ancora per un po' questo posto. Alle stranezze che mi stupivano le prime settimane se ne aggiungono altre nuove, altre che sono nella normalità di questa grande città asiatica. Ci si abitua presto alle cose buone. Per esempio il senso di pulizia che dopo un po' sembra scontato, non lo è affatto. Planando a Londra per due giorni lo scorso Dicembre ho capito subito cosa significa attraversare spazi pubblici qui a Tokyo e prendere la Piccadilly line a Londra. Ci si abitua anche al silenzio o meglio dire, a una comunicazione sociale che non è mai sopra le righe, alla stupenda cura per i dettagli, alla cura personale. Come disse qualcuno se la civiltà di un popolo si misura anche dalla cura per se stessi e per gli spazi condivisi, la relazione che Tokyo ha con le altre capitali asiatiche forse è solo goegrafica. Facendo il check-in a Fiumicino con la compagnia cinese Air China ci si rende conto di cosa significa  al primo sguardo identità culturale. Non meglio, non peggio, solo diverso. Diverso cosa? La gestualità, per esempio o la modalità in cui si affrontano situazioni di attesa: fare la fila o saperla fare senza tante storie è un fatto culturale. Noi italiani lo sappiamo bene. I cinesi un po' ci somigliano. I giapponesi e gli inglesi un po' si somigliano. Resterò a Tokyo per altri due mesi, nel frattempo imparerò lo ZEN a e l'arte del saper attendere.