venerdì 30 ottobre 2009

Segni e bisogni



Procione (tanuki) sulla porta della metro.  

Poiché non ho quasi nessuna conoscenza intellettuale di questo paese e quella che ho è poca ad empirica, mi affeziono alle cose che inevitabilmente intrigano meglio la mia sopravvivenza, nello scpecifico: cibo, spazi, piccoli accadimenti, stereotipi e cosi via. Insomma, il significato più ampio di cultura. Anche le cose che possono farci sorridere chiedono rispetto e tolleranza, insieme a religione, pratiche sociali ecc., perchè sono nel loro piccolo indicatori culturali. Togliersi le scarpe prima di entrare in casa mi sembra molto sensato. Se non lo fai ti guardano molto male. Di tutti gli oggettini che semplificano la vita ai giapponesi, il gadget nella foto in basso mi sembra in tema con il loro senso di igiene, ma soprattutto con una certo infantilismo comunicativo, talvolta legato a cose anche molto serie. Per esempio, il manuale che viene consegnato agli abitanti del quartiere sul da farsi in caso di terremoto, sembra fatto da un illustratore di libri per bambini. Il pupazzone che campeggia nell'autobus è molto rassicurante nel caos cittadino. Anche gli adesivi sulle porte della metro sono piccoli capolavori comunicativi, graficamente efficaci: un procione avverte di stare attenti a non chiudersi la mani nelle porte scorrevoli, con tutto il dramma che potrebbe generare se il treno riparte, sempre puntuale, trascinadoti via nel tunnel. Persino al semaforo pedonale si può stare certi di non sbagliare la propria posizone in attesa del verde, grazie ai segnaposto sul marciapiede. In fondo, la prima volta che si attraversano le strisce pedonali alla stazione di Shibuya è come finire in un grande confuso flipperone. O ci lascia andare al flusso di suoni e immagini o ci sente come Bambi in un episodio di Goldrake. Ancora una volta il contrasto mi stupisce. Accanto ad una cura meticolosa nel proteggere la comunità da piccooli e grandi incidenti quotidiani, si è trovato un modo molto rassicurante per comunicare il messaggio. Un grande spirito manga aleggia nell'aria. Un fenomeno transgenerazionale, che ingloba la realtà. Non ci si stupisce neanche tanto di vedere uomini di affari sulla sessantina, con abito grigio e colletto bianco, immersi nella lettura del fumettone di turno. Il manga dunque, non è solo prodotto editoriale, ma una visione delle cose, intraducibile, inesportabile, forse incomprensibile fuori dal Giappone.


Centra pipì adesivi per salvare la tavoletta

lunedì 26 ottobre 2009

Cippone


Take away di ramen, Sendagi (11.10.09)

Quanta Cina c'è in Giappone? Molta. Ci sono ovvie ragioni storiche che sarebbe troppo complicato liquidare nella brevità di un post. La Cina in passato è stata il principale referente culturale per il Giappone. Ma la Cina che si vede a Tokyo oggi, quella con cui ci si confronta nel quotidiano, somiglia un po' a quella che riceviamo noi in Europa: per dirla con Saviano, tonnellate di merce spesso di scarsa qualità, inonda letteralmente il mercato giapponese. Miliardi di gadgets di ogni tipo, finiscono negli scaffali dei negozi a cento yen, equivalente dei nostri "tutto 1 euro". Cinese, pare sia anche molto pesce importato. Di origine cinese sono anche i ramen: spaghettoni in brodo di carne. Un piatto caldo, comune ed economico, molto lontano dall'idea di sushi e di cucina giapponese esportata in occidente.
La Cina che arriva dal passato la si trova per esempio in uno dei sistemi di scrittura adottati, basato su ideogrammi, i kanji. Insieme agli altri tre alfabeti, hiragana, katakana e romaji (il nostro), i kanji sono un quelli che complicano la vita a chi vuole imparare il giapponese. Il katakana, con i caratteri fatti di pochi segni, è usato di frequente per parole straniere. I kanji invece ricordano subito la Cina, al mio immaginario culturale fatto tutto di Giappone zen, sobrietà ed essenzialità. In realtà le cose sono più complicate. Forse non sono l'unica, probabilmente incontro decine di cinesi ogni giorno, ma penso che siano tutti nipponici puri. Di una cosa si è certi: stando quì la facile e superficiale associazione di idee "Giappone-Cina è tutto un Oriente", crolla miseramente e si viene investisti da un diosorientamento epocale da cui non ci si riprende con un tè verde.


Tempio Buddo-Shinto, Nezu (18.10.09)

mercoledì 21 ottobre 2009

Oktoberfest



















Yokohama (17.10.09)

Wurstel, boccali di birra, crauti. Non so che che tipo di curiosità, se gastronomica o antroplogica mi ha spinto a Yokohama. Si, hanno anche loro l'Oktoberfest. Tutto riprodotto come a Monaco, orchestrina e canti in tedesco inclusi, cantati da giapponesi più o meno alticci. Che dire, in mezzo a circa mille persone, milioni di rutti e molta perplessità sui prezzi di mezzo litro di birra penso che non ripeterò la cosa. Vi immaginate la sagra del tortellini a Città del Capo, quella della pecora in cappotto (bollita con patate sbucciate o con la buccia, dipende dalla contea) a Versailles? Il senso della riproduzione è molto spiccato nei giapponesi, ma certe cose sono davvero troppo stridenti. Forse l'importatore di birre tedesche ha firmato una convenzione pluriennale con il comune Yokohama, che dista anni luce da simili vocazioni. Sarà una specie di esotismo all'incontrario ovvero tutto quello che arriva da occidente genera una esagerata curiosità. Esempio il solo pronunciare la parola Italia, provoca una serie di stridolini entusiasti da parte femminile e un più misurato stupore da parte maschile. Non mi sono mai sentita così oggetto di attenzioni e positiva curiosità perchè italiana. Forse la distanza diluisce le brutture e la percezione che si ha di un paese. Gli inglesi ci sfottono abbondantemente per il degrado della nostra classe politica, i francesi ci snobbano per partito preso, i giapponesi ci adorano per arte e moda, e tutto un immaginario mezzo pucciniano mezzo rinascimentale che andrebbe aggiornato. Qualcosa che non è esattamente nella lista dei bisogni primari di una società. Bisognerebbe ragionare sulle ragioni profonde che fanno oganizzare una festa della birra taroccata nella seconda città del Giappone. Che c'entrano i polifosfati dei wurstel con la purezza di un tocco di shashimi fresco? Gli esseri umani, a tutte le latitudini non smettono di accontentarsi, e a volte cerca e ricerca l'eccellenza, massima priorità per i nipponici, si finisce per peggiorarsi la qualità della vità. Al riparo dell'enorme capannone però non c'era ombra di teutoniche ragazzotte con le trecce bionde a servire biru (birra).
Non tutto è riproducibile nei minimi dettagli, per fortuna.


giovedì 15 ottobre 2009

Shimoda


Spiaggia di Shirahama


Sala da tè tradizionale, Shimoda


Shimoda, lungo il porto


Due settimane fa ho visitato Shimoda, il punto estremo sulla penisola di Izu a circa 2 ore e mezzo di treno da Tokyo. Questa zona è molto conosciuta per le sue fonti termali, alcune molte belle a due passi dalla spiaggia. La baia però è anche stata il punto in cui gli ameriacni sono approdati in Giappone la prima volta nel 1853. A dieci minuti di autobus si trova la spiaggia di Shirahama, punto di incontro dei surfisti giapponesi, che aspettano le onde poche decine di metri da un tempio shinto molto antico con il suo tori sugli scogli. I tori sono come delle porte che simbolicamente delimitano lo spazio sacro del tempio. Tutto però mi è sembrato un po' decadente con i baretti fatiscenti, molta lamiera arruginita e sporcizia sulla spiaggia. La cosa che mi ha lasciato sconvolta però sono degli atutentici ecomostri in cemento costruiti a 50 metri dalla spiaggia. Hotel visibili dal treno lungo tutta la costa. Forse il Giappone che mi piace non esiste più, è una roba da turisti. Non smetto però di cercarlo. Ho visitato una sala da tè di circa cento anni, arredata con tatami, interamente in legno. In legno è anche un ryokan (locanda tradizionale), con un sento (bagno con acque termali), al suo interno a pochi kilometri da Shimoda. Questi due posti e la freschezza del pesce pescato dai pescatori della zona valgono una visita. Tsunami permettendo. In paese lungo il porto si trovano dei cartelli che avvertono sulla possibilità di tzunami improvvisi. Del resto tutto il giappone si trova proprio al limite di una falda, che lo rende terra di terremoti, tzunami, vulcani e appunto numerose fonti termali...

martedì 13 ottobre 2009

Kimono


Sulla metro a Shinjuku (11.10.09).

Non ho ancora provato un kimono, ho deciso che lo farò, se ne trovo uno economico. Non so quanto sia comodo sulle scale della metro, e negli infiniti corridoi delle stazioni di Tokio, aderente e lungo fino alle caviglie, costringe a passettini che fanno perdere molti treni.
Mi lasciano perplessa le calzine bianche con gli infradito tradizionali (geta), ma il resto mi sembra elegante. Vedere attempate signore di 50 anni in kimono è molto frequente. Meno frequente e vedere ventenni che lo indossano. Sarà un tocco di stravaganza in mezzo a un delirio di stili. A parte le divise da scolarette, che prevedono calzettoni al ginocchio, la calza nera o a rete autoreggente e minigonna a mezza coscia è di tendenza, ma non sembra essere un arma di seduzione. Del resto, gli uomini giapponesi sembrano essere piuttosto freddini ai centimetri di carne esposta.

mercoledì 7 ottobre 2009

Letargie



Caffè a Shibuya (27.10.09). Leggo, poi dormo, poi leggo, poi ipoddo, poi dormo...

Per me che non ho problemi a prendere sonno praticamente ovunque, incluse panchine, sedili di autobus, spiaggia rovente, divano ciancicato a casa di amici, verso le due del mattino. Per me che consumo dosi di caffeina ad orari che per altri sono gia da infuso, il fatto di vedere ovunque a tutte le ore, tokiesi assopiti nei caffè, sulla metropolitana o nei parchi pubblici, ha suscitato subito una piacevole empatia. Non è un luogo comune. Loro lo fanno con una naturalezza che però mi sfugge. Sono tendenziamente molto silenziosi, discreti e composti, a parte quando bevono, ma in questo caso gli effetti collaterali sono talmente immediati sul loro organismo che non si arriva mai alla fase intermedia che può essere inopportuna per chi sta accanto: si passa di solito alla fase succesiva diciamo degli spiacevoli incovenienti che l'alcool può produrre sui marciapiedi fuori dai locali. Comunque, il sonno che li vince con tale facilità non si può spiegare solo con i ritmi di lavoro poco sindacali, con la scomodità dei futon o con lo stress del pendolare. Mentre è proibito conversare al telefonino e consumare cibi nella metro o in altri spazi pubblici, dormire sembra restare un ottimo ammazatempo quando un manga finisce e il pensiero di attaccare bottone con gli sconociuti non fa parte delle abituduni sociali di una grossa città. Cosa produca questo sonno diffuso, fatto di piccoli appisolamenti profondi resta per me un mistero. Ma nel rigore e nella formalità della loro buone maniere, a volte persino troppo rigide, questo elemento del sonno pubblico, per cosi dire, rende i tokiesi e più in generale i giapponesi non così tanto "controllati" agli occhi degli stranieri.
Io mi adeguo.

martedì 6 ottobre 2009

Dettagli


Sendagi, Tokyo (06.10.09)


Rikugien garden, Tokyo (01.10.09). Il giardino è stato disegnato pensando alla poesia classica giapponese, Waka. La foto è il risultato di un primo nudo scatto.

La fitta rete di cavi e di pali che si vede fuori dalla mia finestra è brutta. Cavi elettrici, telefonici, di altro genere formano grovigli che sembrano da un momento all'altro cedere o creare un corto circuito. Non mi spiego perchè in uno dei paesi più ricchi del mondo questa è la norma. Brutti sono anche gli infissi in alluminio che tutte le case, le villette e i condomini hanno. Domina il cemento. Ci saranno delle ragioni climatiche e sismiche. Non si trova nel decoro urbano la bellezza. Sembra esserci una netta separazione fra pulizia e bellezza. Tutto è pulito. Tutti gli spazi collettivi sono clinici. Alla bellezza vengono riservati però i dettagli, le piccole cose, alcuni oggetti di uso quotidiano, i giardini, una ciotola. Il dettaglio è bello e curato. La città, almeno nelle aree residenziali, neanche tanto periferiche, lascia perplessi. Ma dietro un discutibile palazzo di 8 piani, mappa alla mano, si può scoprire un giardino di epoca Edo, curato sia nei dettagli sia nel suo insieme. Queste piccole oasi di bellezza sono quasi degli spazi sacri, insieme ai tempietti shinto o buddisti che hanno di solito un piccolo giardino con una fonte. La bellezza insomma è qualcosa che non ha un carattere diffuso in questa grande metropoli. Va cercata, e quando la si scopre non è tanto difficile ritrarla. Le cose sono disposte per il piacere degli occhi in tutte le dimesioni spaziali, pensate per essere apprezzate quando ci si cammina dentro o intorno.

(se cliccate sulle foto potete ingrandirle)

giovedì 1 ottobre 2009

Asakusa




Asakusa. Forse uno dei posti più turistici di Tokyo. Quì si trova il tempio più antico della città.
Si mescolano l'odore dell'incenso e quello del cibo bollito, fritto o arrostito, nei localini intorno all'area del tempio. L'Asakusa che ho fotografato quì e quella della sera, quando i venditori di souvenir chiudono, e si vedono uomini di affari giapponesi che accompagno uomini di affari occidentali in visita, dopo una giornata di lavoro.