mercoledì 30 settembre 2009

Bello e crudele


Pensando al giappone almeno 5 parole di questa lingua le conosciamo tutti:
sushi, tzunami, geisha, samuray, per i più raffinati raku e haiku...
Di queste elencate sopra ne aggiungo altre di sopravvivenza, sentou (bagno pubblico) e tatami che insieme a sake possono bastare per i primi 7 giorni. Ma anche chi vive qui da tempo finisce per sentirsi sempre un po' inadeguato. Così una semplice domanda si può trasformare in piccolo dramma. Sushi con amici. Al mio quarto tocco di tonno crudo, mi accorgo che un pescione, di circa due chili, boccheggia semi disteso sul fondo nell'acquario alle spalle dei cuochi. Chiedo se il pesce sta bene. Dopo qualche minuto un assistente lo pesca e dietro un paraventino di vetro lattato fa un rapido controllo fatale. Dopo due minuti di hara-kiri praticato al pesce, il capo cuoco ci offre in un piattino il cuore ancora pulsante (nel senso che davvero ancora palpitava), di quello che solo 10 minuti prima era un meraviglioso esemplare di orata diventato un sacrificio alla freschezza. Il cuore è stato mangiato. Il cuoco è tornato a finire un bellissimo sashimi con annesso crisantemino giallo per decorare il piatto. Ci siamo chiesti se abbiamo fattto bene a chiedere notizie sulla salute del pesce. Se il cuoco ci ha onorato di un privilegio raro o se semplicemente, ai clienti che dubitano della freschezza del loro prodotto, offrono prontamente la dimostrazione della qualità del cibo che servono. Il dubbio permane.
Penso ai panini con il polpo che si compravano ancora negli anni '80 in un baretto per pensionati a Siniscola. Pane, mestolo di polpo e via...