martedì 8 dicembre 2009

Kurenai



 
Giardino di Rikyugen, (Dicembre 2009)



Ebbene si. Non ho saputo resistere al rito. Ma è stato molto difficile, non farlo. Ficcarmi in parco per due o tre ore e consumare la batteria della mia macchinetta digitale facendo un centinaio di foto agli aceri che impazziscono di rosso (kurenai) per due settimane, mi ha fatto sentire come quelle decine di fotografi con dei veri kalashnikov della fotografia, con teleobiettivi da migliaia di yen che si fermavano minuti sulle venature di una foglia, ma non il suo insieme ovvero tutto l'albero. Il punto di vista cambia. Il dettaglio vale più dell'insieme e su quello qui sono maestri. Poco importa se tutto il giardino di Rikyugen era una specie di Monet irripetibile che col passare delle ore mostrava tutta la sua bellezza autunnale.  Le stagioni sono molto importanti per i giapponesi. La natura e la cucina in particolare sono di fatto considerate anche esperienze estetiche, che hanno un distinto carattere stagionale. Me lo avevano detto, rientrava nei luoghi comuni che uno si prende con il biglietto per venire quì, ma devo confessare che la realtà ha superato la guida turistica e persino il senso delle stagioni che abbiamo noi dei climi temperati. Gli aceri che diventano rossi per una settimana all'anno producono un turismo interno di tutto rispetto. Kyoto per esempio è una delle mete preferite.

venerdì 27 novembre 2009

Homeless


Lanterne ad Asakusa
Tutte le grandi metropoli hanno una zona grigia di residenti: quelli che hanno smesso di pagare un affitto perché la loro condizione economica li ha fatti precipitare sul marciapiede. Succede anche a Tokyo. Succede che si perde il lavoro oppure si sceglie una vita ai margini. Sono quelli dalle tende blu che si vedono nei parchi cittadini. Una comunità di uomini ma anche di donne che dividono lo spazio pubblico di un parco. Non mi aspettavo però di vedere un piccolo villagio di tende blu al parco di Yoyogi, uno dei parchi cittadini molto frequentato dai giovani Tokyesi, famoso negli anni ''90  per essere una vetrina di altenativi che dettavano tendenze in fatto di look estremi. Il fine settimana questo parco, non lontano dalla affollatissima zona dello shopping chic di Omotesando, è un teatro di libere performance o  pratiche sportive colletive. Il villaggio dei senzatetto, si trova nella zona meno battutta dai visitatori. Si rimane colpiti dall'ordine e dalla pulizia intorno alle tende, dai fiori, dai sentierini di ciottoli che portano fino agli  ingressi. Un senso di dignità e decoro generale che mi sembrano lontanissimi dai cartoni marci sotto i portici della stazione, di cose caricate sui carrelli del supermercato, che diventano tutti i loro possessi. A quento pare non è difficile finire in una tenda blu, considerati  gli affitti molto alti di Tokyo. Recentemente a finirci pare siano ex impiegati o manager, sull'onda delle recente crisi economica che ha colpito anche il Giappone, ma quì il tasso di disoccupazione è comunque ad una cifra: lo scorso maggio era  intorno al 4,8%, per intendersi la media europea era al 8,9% cosi come quella americana.


Tenda di un senzatetto a Yoyogi














lunedì 16 novembre 2009

New look


Teatro Kabuki-za, Ginza

Mi sono resa conto che i miei post sono diventati, lunghi, lunghissimi. Proverò a darci un taglio.Smetto da domani però.
Ho letto ieri la storia/cronaca di Yoani Sanchez, la blogger cubana che sta pagando in prima persona la censura ai tempi del web. Vi invito a leggere il suo di blog.

http://desdecuba.com/generaciony/

Mi sento fortunata a poter scrivere, sopratutto leggere liberamente sul web quello che voglio. A proposito di libera manifestazione delle proprie idee, sono stata la scorsa settimana al teatro, Kabuki-za, quì a Tokyo. Ho trovato il biglietto più ecomomico per assistere ad un classico del genere samurai: meglio noto in occidente come La vendetta dei 47 samurai o il 47mo Ronin. Il teatro edificato nel 1889, sarà demolito, con molta probabilità interamente, fra 165 giorni. Ho chiesto alla mia studentessa di Italiano se per caso i tokiesi si stanno mobilitando per salvare quello che si può. Mi è stato detto che in realtà non esiste nessun comitato o gruppo di sostegno in favore del vecchio teatro, o se esiste manifesta dissenso alla giapponese, ovvero molto contenuto da non richiamare tanta attenzione. Lei stessa ammette che la cultura giapponese è fatta così, ovvero “aspettare che siano sempre gli altri a fare qualcosa, che però anche noi condividiamo”. Sarà solo una questione giapponese? Il quartiere in cui vivo, ha ancora palazzi di pochi piani, due, tre. Qualcuno ha fissato all’uscita della metro delle lenzuola che esprimono disapprovazione per un nuovo edificio di molti piani, che verrà tirato su nei prossimi mesi e che cambierà decisamente la vita di chi vive nelle piccole case intorno. Una specie di "piano casa" perenne, attuato dalle grosse lobby immobiliari tokiesi.


Asahi Beer Hall, lungo il fiume Sumida. L'edificio progettato da Philippe Stark, è di proprietà della Asahi, uno dei più importanti produttori di birra in Giappone. Il "coso" in cima dovrebbe essere una fiamma...

mercoledì 11 novembre 2009

Street Food


Onnipresente distributore di bevande calde e fredde.

Ho recentemente sentito un intervento di Carlo Petrini fondatore di Slow Food, che ha presentato una traduzione giapponese del suo libro Buono pulito e giusto, a proposito del cibo buono, etico e lento. Qui mangiare mentre si cammina è considerato un segno di maleducazione. Non fatelo, oppure fatelo ma sarete subito declassati a poveri stranieri senza grazia e senza cura, per voi stessi e gli altri. Eppure mangiare in giro è pratica comune, se vi sedete nelle apposite panche. A Tokyo, tutti concordano su un punto in fatto di cibo: costa davvero poco mangiare fuori. Ovviamente, non vi venga in mente di ordinare otto etti di sashimi in uno di questi posti con il cuoco che ha un rapporto divino con i suoi coltelli e il senso del taglio è una questione zen. Il cibo è di buona qualità ed economico, se si escludono: a) le imitazioni di tramezzini, gonfi di maionese che neanche in un baretto a fine settembre nel litorale di Quartu potrebbero vendere; b) tutto l’universo culinario italico e transalpino, qui molto apprezzato, per intendersi, quei ristoranti che si chiamano per cognome o nome, tipo “Da Salvatore”, “Sabatini”.
Se siete in giro, e volete piluccare o affogare la frustrazione da carboidrato, si fa un buon pasto per circa 1000 Yen (circa 7,50 euro) di cose che appartengono alla loro tradizione. Verdure stagionali, alghette in tutte le salse, zuppette, riso, frittatine con polpo ecc. Lo so, non è una rosetta con salame e pecorino, ma non vi trovate neanche nell’area di servizio di Abbasanta. Se siete di bocca buona, nelle aree ancora tradizionali è possibile trovare la versione nipponica di venditori ambulanti di cibo (loro, i caddozzoni): al lato del tempio, intorno ai mercati rionali. Per poche centinaia di yen vi danno cibo caldo, arrostito e alla piastra. Caffé? Ecco, invece qui bisogna stare attenti, perché oltre a servire cappuccini a 130°c, rischiate di pagarli, l’equivalente di almeno 2 colazioni nostrane al bar, bombolone compreso. Ci sono però delle isole felici: i caffé Segafredo per esempio, dove i baristi giapponesi si dicono in italiano “grazie” e “per favore” a vicenda, per creare l’atmosfera. Il cappuccino è da manuale.

Un morso e via...

Onigiri: l’equilvalente della pizzetta al taglio, sano bolo triangolare di riso bollito, farcito con pesce o verdurine, avvolto in nastro di alga nori. Pratico, non cola, non è unto, è sano

Okonomyaki:
frittattina leggera con pesce (polpo,calamari, gamberi), o verdure, decorata con una salsa dolcina, e scaglie di pesce secco. Provare per credere.

Tempura:
frittura in pastella. Di tutto di più, pesce e verdure a piccoli morsi.

Sushi/Sashimi:
meglio lasciar perdere quello economico. Se vi trovate alle 7 del mattino nell’area intorno a Tsukiji (uno dei più importanti mercati mondiali del pesce), entrate in uno dei localini intorno. Sembrano posti economici, ma in realtà sono delle filiali di Bulgari del filetto di tonno. Potete gustare il sushi più fresco della città. Una volta nella vita va fatto.

Senbei:
gustosi cracker di farina di riso, spesso insaporiti con alghe e spezie, cotti tradizionalmente sulla griglia a carbone e spennellati con salsa di soia. Ottimi con la birra.

Burgheraggi:
pare che il panino Mc, qui sia molto leggero, per adattarsi ai gusti del palato nippo. Solo in casi di estrema disperazione, poi c’è solo il biglietto di ritorno.


Yanaka coffee. Stupendi caffé appena tostati e macinati da tutto il mondo.

venerdì 30 ottobre 2009

Segni e bisogni



Procione (tanuki) sulla porta della metro.  

Poiché non ho quasi nessuna conoscenza intellettuale di questo paese e quella che ho è poca ad empirica, mi affeziono alle cose che inevitabilmente intrigano meglio la mia sopravvivenza, nello scpecifico: cibo, spazi, piccoli accadimenti, stereotipi e cosi via. Insomma, il significato più ampio di cultura. Anche le cose che possono farci sorridere chiedono rispetto e tolleranza, insieme a religione, pratiche sociali ecc., perchè sono nel loro piccolo indicatori culturali. Togliersi le scarpe prima di entrare in casa mi sembra molto sensato. Se non lo fai ti guardano molto male. Di tutti gli oggettini che semplificano la vita ai giapponesi, il gadget nella foto in basso mi sembra in tema con il loro senso di igiene, ma soprattutto con una certo infantilismo comunicativo, talvolta legato a cose anche molto serie. Per esempio, il manuale che viene consegnato agli abitanti del quartiere sul da farsi in caso di terremoto, sembra fatto da un illustratore di libri per bambini. Il pupazzone che campeggia nell'autobus è molto rassicurante nel caos cittadino. Anche gli adesivi sulle porte della metro sono piccoli capolavori comunicativi, graficamente efficaci: un procione avverte di stare attenti a non chiudersi la mani nelle porte scorrevoli, con tutto il dramma che potrebbe generare se il treno riparte, sempre puntuale, trascinadoti via nel tunnel. Persino al semaforo pedonale si può stare certi di non sbagliare la propria posizone in attesa del verde, grazie ai segnaposto sul marciapiede. In fondo, la prima volta che si attraversano le strisce pedonali alla stazione di Shibuya è come finire in un grande confuso flipperone. O ci lascia andare al flusso di suoni e immagini o ci sente come Bambi in un episodio di Goldrake. Ancora una volta il contrasto mi stupisce. Accanto ad una cura meticolosa nel proteggere la comunità da piccooli e grandi incidenti quotidiani, si è trovato un modo molto rassicurante per comunicare il messaggio. Un grande spirito manga aleggia nell'aria. Un fenomeno transgenerazionale, che ingloba la realtà. Non ci si stupisce neanche tanto di vedere uomini di affari sulla sessantina, con abito grigio e colletto bianco, immersi nella lettura del fumettone di turno. Il manga dunque, non è solo prodotto editoriale, ma una visione delle cose, intraducibile, inesportabile, forse incomprensibile fuori dal Giappone.


Centra pipì adesivi per salvare la tavoletta

lunedì 26 ottobre 2009

Cippone


Take away di ramen, Sendagi (11.10.09)

Quanta Cina c'è in Giappone? Molta. Ci sono ovvie ragioni storiche che sarebbe troppo complicato liquidare nella brevità di un post. La Cina in passato è stata il principale referente culturale per il Giappone. Ma la Cina che si vede a Tokyo oggi, quella con cui ci si confronta nel quotidiano, somiglia un po' a quella che riceviamo noi in Europa: per dirla con Saviano, tonnellate di merce spesso di scarsa qualità, inonda letteralmente il mercato giapponese. Miliardi di gadgets di ogni tipo, finiscono negli scaffali dei negozi a cento yen, equivalente dei nostri "tutto 1 euro". Cinese, pare sia anche molto pesce importato. Di origine cinese sono anche i ramen: spaghettoni in brodo di carne. Un piatto caldo, comune ed economico, molto lontano dall'idea di sushi e di cucina giapponese esportata in occidente.
La Cina che arriva dal passato la si trova per esempio in uno dei sistemi di scrittura adottati, basato su ideogrammi, i kanji. Insieme agli altri tre alfabeti, hiragana, katakana e romaji (il nostro), i kanji sono un quelli che complicano la vita a chi vuole imparare il giapponese. Il katakana, con i caratteri fatti di pochi segni, è usato di frequente per parole straniere. I kanji invece ricordano subito la Cina, al mio immaginario culturale fatto tutto di Giappone zen, sobrietà ed essenzialità. In realtà le cose sono più complicate. Forse non sono l'unica, probabilmente incontro decine di cinesi ogni giorno, ma penso che siano tutti nipponici puri. Di una cosa si è certi: stando quì la facile e superficiale associazione di idee "Giappone-Cina è tutto un Oriente", crolla miseramente e si viene investisti da un diosorientamento epocale da cui non ci si riprende con un tè verde.


Tempio Buddo-Shinto, Nezu (18.10.09)

mercoledì 21 ottobre 2009

Oktoberfest



















Yokohama (17.10.09)

Wurstel, boccali di birra, crauti. Non so che che tipo di curiosità, se gastronomica o antroplogica mi ha spinto a Yokohama. Si, hanno anche loro l'Oktoberfest. Tutto riprodotto come a Monaco, orchestrina e canti in tedesco inclusi, cantati da giapponesi più o meno alticci. Che dire, in mezzo a circa mille persone, milioni di rutti e molta perplessità sui prezzi di mezzo litro di birra penso che non ripeterò la cosa. Vi immaginate la sagra del tortellini a Città del Capo, quella della pecora in cappotto (bollita con patate sbucciate o con la buccia, dipende dalla contea) a Versailles? Il senso della riproduzione è molto spiccato nei giapponesi, ma certe cose sono davvero troppo stridenti. Forse l'importatore di birre tedesche ha firmato una convenzione pluriennale con il comune Yokohama, che dista anni luce da simili vocazioni. Sarà una specie di esotismo all'incontrario ovvero tutto quello che arriva da occidente genera una esagerata curiosità. Esempio il solo pronunciare la parola Italia, provoca una serie di stridolini entusiasti da parte femminile e un più misurato stupore da parte maschile. Non mi sono mai sentita così oggetto di attenzioni e positiva curiosità perchè italiana. Forse la distanza diluisce le brutture e la percezione che si ha di un paese. Gli inglesi ci sfottono abbondantemente per il degrado della nostra classe politica, i francesi ci snobbano per partito preso, i giapponesi ci adorano per arte e moda, e tutto un immaginario mezzo pucciniano mezzo rinascimentale che andrebbe aggiornato. Qualcosa che non è esattamente nella lista dei bisogni primari di una società. Bisognerebbe ragionare sulle ragioni profonde che fanno oganizzare una festa della birra taroccata nella seconda città del Giappone. Che c'entrano i polifosfati dei wurstel con la purezza di un tocco di shashimi fresco? Gli esseri umani, a tutte le latitudini non smettono di accontentarsi, e a volte cerca e ricerca l'eccellenza, massima priorità per i nipponici, si finisce per peggiorarsi la qualità della vità. Al riparo dell'enorme capannone però non c'era ombra di teutoniche ragazzotte con le trecce bionde a servire biru (birra).
Non tutto è riproducibile nei minimi dettagli, per fortuna.


giovedì 15 ottobre 2009

Shimoda


Spiaggia di Shirahama


Sala da tè tradizionale, Shimoda


Shimoda, lungo il porto


Due settimane fa ho visitato Shimoda, il punto estremo sulla penisola di Izu a circa 2 ore e mezzo di treno da Tokyo. Questa zona è molto conosciuta per le sue fonti termali, alcune molte belle a due passi dalla spiaggia. La baia però è anche stata il punto in cui gli ameriacni sono approdati in Giappone la prima volta nel 1853. A dieci minuti di autobus si trova la spiaggia di Shirahama, punto di incontro dei surfisti giapponesi, che aspettano le onde poche decine di metri da un tempio shinto molto antico con il suo tori sugli scogli. I tori sono come delle porte che simbolicamente delimitano lo spazio sacro del tempio. Tutto però mi è sembrato un po' decadente con i baretti fatiscenti, molta lamiera arruginita e sporcizia sulla spiaggia. La cosa che mi ha lasciato sconvolta però sono degli atutentici ecomostri in cemento costruiti a 50 metri dalla spiaggia. Hotel visibili dal treno lungo tutta la costa. Forse il Giappone che mi piace non esiste più, è una roba da turisti. Non smetto però di cercarlo. Ho visitato una sala da tè di circa cento anni, arredata con tatami, interamente in legno. In legno è anche un ryokan (locanda tradizionale), con un sento (bagno con acque termali), al suo interno a pochi kilometri da Shimoda. Questi due posti e la freschezza del pesce pescato dai pescatori della zona valgono una visita. Tsunami permettendo. In paese lungo il porto si trovano dei cartelli che avvertono sulla possibilità di tzunami improvvisi. Del resto tutto il giappone si trova proprio al limite di una falda, che lo rende terra di terremoti, tzunami, vulcani e appunto numerose fonti termali...

martedì 13 ottobre 2009

Kimono


Sulla metro a Shinjuku (11.10.09).

Non ho ancora provato un kimono, ho deciso che lo farò, se ne trovo uno economico. Non so quanto sia comodo sulle scale della metro, e negli infiniti corridoi delle stazioni di Tokio, aderente e lungo fino alle caviglie, costringe a passettini che fanno perdere molti treni.
Mi lasciano perplessa le calzine bianche con gli infradito tradizionali (geta), ma il resto mi sembra elegante. Vedere attempate signore di 50 anni in kimono è molto frequente. Meno frequente e vedere ventenni che lo indossano. Sarà un tocco di stravaganza in mezzo a un delirio di stili. A parte le divise da scolarette, che prevedono calzettoni al ginocchio, la calza nera o a rete autoreggente e minigonna a mezza coscia è di tendenza, ma non sembra essere un arma di seduzione. Del resto, gli uomini giapponesi sembrano essere piuttosto freddini ai centimetri di carne esposta.

mercoledì 7 ottobre 2009

Letargie



Caffè a Shibuya (27.10.09). Leggo, poi dormo, poi leggo, poi ipoddo, poi dormo...

Per me che non ho problemi a prendere sonno praticamente ovunque, incluse panchine, sedili di autobus, spiaggia rovente, divano ciancicato a casa di amici, verso le due del mattino. Per me che consumo dosi di caffeina ad orari che per altri sono gia da infuso, il fatto di vedere ovunque a tutte le ore, tokiesi assopiti nei caffè, sulla metropolitana o nei parchi pubblici, ha suscitato subito una piacevole empatia. Non è un luogo comune. Loro lo fanno con una naturalezza che però mi sfugge. Sono tendenziamente molto silenziosi, discreti e composti, a parte quando bevono, ma in questo caso gli effetti collaterali sono talmente immediati sul loro organismo che non si arriva mai alla fase intermedia che può essere inopportuna per chi sta accanto: si passa di solito alla fase succesiva diciamo degli spiacevoli incovenienti che l'alcool può produrre sui marciapiedi fuori dai locali. Comunque, il sonno che li vince con tale facilità non si può spiegare solo con i ritmi di lavoro poco sindacali, con la scomodità dei futon o con lo stress del pendolare. Mentre è proibito conversare al telefonino e consumare cibi nella metro o in altri spazi pubblici, dormire sembra restare un ottimo ammazatempo quando un manga finisce e il pensiero di attaccare bottone con gli sconociuti non fa parte delle abituduni sociali di una grossa città. Cosa produca questo sonno diffuso, fatto di piccoli appisolamenti profondi resta per me un mistero. Ma nel rigore e nella formalità della loro buone maniere, a volte persino troppo rigide, questo elemento del sonno pubblico, per cosi dire, rende i tokiesi e più in generale i giapponesi non così tanto "controllati" agli occhi degli stranieri.
Io mi adeguo.

martedì 6 ottobre 2009

Dettagli


Sendagi, Tokyo (06.10.09)


Rikugien garden, Tokyo (01.10.09). Il giardino è stato disegnato pensando alla poesia classica giapponese, Waka. La foto è il risultato di un primo nudo scatto.

La fitta rete di cavi e di pali che si vede fuori dalla mia finestra è brutta. Cavi elettrici, telefonici, di altro genere formano grovigli che sembrano da un momento all'altro cedere o creare un corto circuito. Non mi spiego perchè in uno dei paesi più ricchi del mondo questa è la norma. Brutti sono anche gli infissi in alluminio che tutte le case, le villette e i condomini hanno. Domina il cemento. Ci saranno delle ragioni climatiche e sismiche. Non si trova nel decoro urbano la bellezza. Sembra esserci una netta separazione fra pulizia e bellezza. Tutto è pulito. Tutti gli spazi collettivi sono clinici. Alla bellezza vengono riservati però i dettagli, le piccole cose, alcuni oggetti di uso quotidiano, i giardini, una ciotola. Il dettaglio è bello e curato. La città, almeno nelle aree residenziali, neanche tanto periferiche, lascia perplessi. Ma dietro un discutibile palazzo di 8 piani, mappa alla mano, si può scoprire un giardino di epoca Edo, curato sia nei dettagli sia nel suo insieme. Queste piccole oasi di bellezza sono quasi degli spazi sacri, insieme ai tempietti shinto o buddisti che hanno di solito un piccolo giardino con una fonte. La bellezza insomma è qualcosa che non ha un carattere diffuso in questa grande metropoli. Va cercata, e quando la si scopre non è tanto difficile ritrarla. Le cose sono disposte per il piacere degli occhi in tutte le dimesioni spaziali, pensate per essere apprezzate quando ci si cammina dentro o intorno.

(se cliccate sulle foto potete ingrandirle)

giovedì 1 ottobre 2009

Asakusa




Asakusa. Forse uno dei posti più turistici di Tokyo. Quì si trova il tempio più antico della città.
Si mescolano l'odore dell'incenso e quello del cibo bollito, fritto o arrostito, nei localini intorno all'area del tempio. L'Asakusa che ho fotografato quì e quella della sera, quando i venditori di souvenir chiudono, e si vedono uomini di affari giapponesi che accompagno uomini di affari occidentali in visita, dopo una giornata di lavoro.

mercoledì 30 settembre 2009

Bello e crudele


Pensando al giappone almeno 5 parole di questa lingua le conosciamo tutti:
sushi, tzunami, geisha, samuray, per i più raffinati raku e haiku...
Di queste elencate sopra ne aggiungo altre di sopravvivenza, sentou (bagno pubblico) e tatami che insieme a sake possono bastare per i primi 7 giorni. Ma anche chi vive qui da tempo finisce per sentirsi sempre un po' inadeguato. Così una semplice domanda si può trasformare in piccolo dramma. Sushi con amici. Al mio quarto tocco di tonno crudo, mi accorgo che un pescione, di circa due chili, boccheggia semi disteso sul fondo nell'acquario alle spalle dei cuochi. Chiedo se il pesce sta bene. Dopo qualche minuto un assistente lo pesca e dietro un paraventino di vetro lattato fa un rapido controllo fatale. Dopo due minuti di hara-kiri praticato al pesce, il capo cuoco ci offre in un piattino il cuore ancora pulsante (nel senso che davvero ancora palpitava), di quello che solo 10 minuti prima era un meraviglioso esemplare di orata diventato un sacrificio alla freschezza. Il cuore è stato mangiato. Il cuoco è tornato a finire un bellissimo sashimi con annesso crisantemino giallo per decorare il piatto. Ci siamo chiesti se abbiamo fattto bene a chiedere notizie sulla salute del pesce. Se il cuoco ci ha onorato di un privilegio raro o se semplicemente, ai clienti che dubitano della freschezza del loro prodotto, offrono prontamente la dimostrazione della qualità del cibo che servono. Il dubbio permane.
Penso ai panini con il polpo che si compravano ancora negli anni '80 in un baretto per pensionati a Siniscola. Pane, mestolo di polpo e via...